I generali caster

I generali caster

Nuovi divi: i telecronisti e-sportivi

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Parliamo di fama, sport elettronici e aspirazioni.


Scopro i caster e inizio a farmi domande.

Che cos’è un caster? Una persona che commenta le trasmissioni degli e-games.

E che cos’è un e-game? Un incontro di qualche e-sport.

E che cosa sono gli e-sports? È il nome fico che hanno dato a «giocare ai videogiochi» a livello competitivo e professionistico. Non riguarda soltanto le versioni elettroniche degli sport reali: ci sono tornei di League of Legends o di Tetris. E i caster li commentano tutti.

No, non erano questi gli interrogativi.

In Spagna uno di questi caster, Ibai Llanos, è diventato una superstar.

Hanno persino girato un documentario di 40 minuti sulla sua vita, sponsorizzato fra gli altri da Domino’s Pizza.

Ibai ha 24 anni. Riempie palazzetti. Il 31 dicembre scorso ha trasmesso su Twitch la sua versione personale del brindisi di fine anno: oltre mezzo milione di spettatori.

I festeggiamenti televisivi del primo canale spagnolo, La 1, hanno avuto 6,1 milioni di spettatori. Il canale privato Cuatro, con l’1,9% di share, ha contato 388.000 spettatori (269.000 secondo altre fonti).

Tabella audience Capodanno 2020 TV spagnola

Questo significa che un ragazzo di 24 anni, praticamente da solo, ha ottenuto risultati migliori di quelli di un network televisivo nazionale.

Ma torniamo agli interrogativi.

Un caster è diverso da un telecronista di calcio?

È uguale, ma mi sembra diverso perché sono vecchio?

Un amico mi ha detto:

Sono fenomeni della contemporaneità, della postmodernità... lui rimane quello che è, un nerd che gioca e guarda gli altri giocare. Le cose potrebbero cambiare e tra due anni andrà di moda qualcos’altro. Bisogna capire se questa persona è in grado di reinventarsi, altrimenti a 26 anni: sipario.

La storia di Alex

Scendiamo di qualche piano.

Ho un conoscente, Alex, appassionato di giochi da tavolo e videogiochi, che qualche anno fa inizia a caricare su YouTube le registrazioni delle sue partite alle avventure grafiche e ad altri videogame horror. Di media, riceve 10 visualizzazioni per ogni video.

Un giorno riceve un invito per Fortnite, quando questo gioco è ancora poco conosciuto. Si mette così a raccontare Fortnite, a creare guide elaborate per chi vuole imparare a giocarci.

Dopo qualche mese le visualizzazioni diventano centinaia, poi migliaia, poi centinaia di migliaia. Quasi dall’oggi al domani si ritrova una community di follower che commenta i video, lo segue fedelmente, gli compra quello che vende.

Fra gli introiti pubblicitari di YouTube, il merchandising e gli abbonamenti su Twitch riesce a raggranellare abbastanza da potersi licenziare. Fa lo youtuber a tempo pieno per circa un anno.

Poi Fortnite inizia a perdere terreno. E così, com’era iniziata, finisce.

Dalle centinaia di migliaia di visualizzazioni (il suo video più visto ne ha 416.000) precipita alle 500-1000. E lui torna a lavorare come informatico.

L’etica dello youtuber

Una volta volevamo essere calciatori... Ora i bambini ambiscono ad essere videogiocatori, youtuber o caster.

È giusto? Ma poi perché? Pensano che sia facile? Che non ci si debba sforzare? Sono accecati dalla fama, dai guadagni apparentemente senza sforzo? È solo questo?

Diversamente da influencer, caster o youtuber, chi vuole diventare calciatore o cantante quanto meno si allena, fa concerti, prova, impara a suonare. Persino chi ha come massima aspirazione la partecipazione al talent show del momento, quanto meno pensa di avere qualità canore superiori alla media.

Forse il punto è che per essere influencer, caster o youtuber non dipendi da nessuno (per farlo, non per avere successo). È il trionfo del fai da te.

Se per diventare calciatore quanto meno devi andare a iscriverti alla squadra dell’oratorio, già questo pomeriggio puoi farti vedere e ascoltare direttamente dalla tua camera da letto senza nessuno che ti filtri, che ti giudichi, che ti valuti, che ti dica se ne sei capace oppure no.

Fama, egocentrismo e immediatezza

Quindi da un lato ci sarebbe la ricerca della fama, un impulso senza tempo, che in questo secolo frenetico si sposa con l’immediatezza e l’egocentrismo. Tutto scorre vorticosamente. Si vuole tutto subito.

Inizialmente pensavo fosse egocentrismo, narcisismo se vogliamo. Ma chiamandolo narcisismo non si coglie che la generazione odierna ha questo come unico modo di rapportarsi con gli altri. È la normalità del periodo storico in cui viviamo.

Per non essere fuori dal mondo, dal giro giusto, anche tu devi essere su YouTube, su Twitch, su TikTok... perché se non ci sei ti perdi la dimensione del globale, del successo, del virale, conteggiato in visualizzazioni, like e follower.

E diventano famose persone senza nessuna qualità.

Mi sorprendo e mi arrabbio che un qualsiasi coetaneo di mia figlia ammiri gente che, in fondo, non sa fare niente, se non esibirsi o al limite scimmiottare comportamenti altrui.

Sono davvero i 15 minuti di fama di Warhol ora alla portata di tutti grazie a internet, a prescindere da quello che sei e da quello che fai.

Andy Warhol GIF

Questa promessa di fama presenterà un conto salato a chi continuerà a credere che possa bastare.

Mi spaventa che queste persone diventino modelli di ruolo per tanti altri, che le ambizioni di un ragazzino siano passate, nel tempo, dal diventare astronauta o dottore a voler essere youtuber.

La logica del minimo sforzo eretta a stile di vita.

Viene premiato il più furbo, il più forte, il più bullo, chi la fa franca... A che serve studiare se poi come caster guadagni quanto o più di un laureato?

Aggiunge il mio amico:

È la filosofia del sopruso a discapito dei più deboli. La prima generazione che è cresciuta con questo mito del «tutto subito» ora ha i figli che vanno a scuola. Sono quei genitori che adesso criticano, bullizzano e menano gli insegnanti quando ai loro figli non viene concesso tutto e subito.

Non si tratta di fenomeni locali. Basta vedere chi sta o è stato ai vertici dei governi per capire che questa mentalità è globalizzata come la Coca-Cola.

Complessi di colpa

E di chi è la colpa?

Qualche sociologo improvvisato direbbe che la logica del minimo sforzo è anche una conseguenza del ’68, della contestazione e del conseguente livellamento della società.

Nel momento in cui aumentano i laureati (anche grazie al 18 politico) e diventano professori tantissimi che non lo fanno per vocazione, da un lato viene snaturata la professione, dall’altro se ne abbassa il prestigio.

Una volta in una comunità c’erano poche figure di riferimento: il prete, il sindaco, il maestro e il medico.

⛪ Il prete oggigiorno è di fatto scomparso, lasciando il posto a guru, santoni e rimpiazzi new age, che ne ereditano lo spirito, ma che sono quasi del tutto privi di peso sociale.

🏛️ Il politico, dopo Mani Pulite, è diventato un guitto, un ladro nelle peggiori delle ipotesi, un burocrate nelle migliori.

🏫 Il maestro non viene più giudicato per quello che sa o che fa, ma per quello che guadagna (poco). «È un morto di fame» e quindi non merita rispetto.

🚑 Resta (restava) il medico, ma a poco a poco viene erosa anche la credibilità della scienza, a furia di antivax e omeopati vari.

A questo aggiungiamoci l’impatto del messaggio berlusconiano, che per trent’anni oltre alle pentole e ai materassi in tv vende l’idea che l’importante è il guadagno, il successo.

E chi questo successo non lo raggiunge, che cosa spera, a che cosa si appiglia?

S’illude di essere unico. Non può essere mediocre, perché sarebbe un fallito secondo la filosofia della fama immediata e del tutto subito. La banalità è il diavolo da scacciare.

E allora cerca di affermare questa presunta unicità rincorrendo i sogni di gloria sui social.

Ma ora vado, ché ho una diretta su Twitch. I miei follower scalpitano.

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