I piaceri delle tavole

I piaceri delle tavole

Come collaborammo con una scuola di fumetto

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La mia fulminea carriera come sceneggiatore di fumetti.

Questo nuovo capitolo dell’operazione nostalgia è ambientato attorno al 2000, a Brescia, la città in cui ho vissuto dai 7 ai 29 anni.

Come spiegavo in un altro paio di articoli, mi sono sempre piaciuti i fumetti. Dopo averne letti molti, per un certo periodo ho anche accarezzato l’idea di scriverne. L’idea sarebbe rimasta tale se non fosse stato per un incontro fortuito.

Nel 2000, a una conferenza sulla grafica, conobbi a Brescia alcuni ragazzi che frequentavano la scuola di arti grafiche e fumetto El Aleph. Scambiammo due parole e ci demmo appuntamento qualche settimana più tardi al Parco Gallo, in occasione della mostra di fine corso, dove gli alunni avrebbero esposto alcune tavole elaborate durante l’anno accademico.

Ricordo che rimasi colpito dalla qualità mediamente molto alta delle opere. In quell’occasione mi presentarono il loro insegnante, nonché titolare della scuola, il compianto Rubén Sosa, fumettista e illustratore argentino, giunto in Italia a metà degli anni settanta e già collaboratore di Héctor Oesterheld e di molte case editrici di prim’ordine.

Rubén ebbe il merito di aprire nel 1986 la prima scuola privata di Brescia per la formazione professionale nell’ambito della grafica, dell’illustrazione e del fumetto. Dalla sua scuola passarono molti studenti che poi diventarono noti professionisti in quei campi, due fra i tanti: Giancarlo Olivares, disegnatore di Nathan Never, Legs Weaver, Jonathan Steele e altro per la Sergio Bonelli Editore e Luigi Simeoni, anche lui disegnatore della scuderia Bonelli di Nathan Never, Agenzia Alfa, ecc.

Rubén mi invitò alla scuola per presentare ai suoi studenti (una quindicina, fra fumetto e grafica) il progetto su cui stavo lavorando in quel momento, il videogioco Mind Iceberg che volevamo concretizzare creando un video promozionale o addirittura una demo. L’incontro andò piuttosto bene. Presentammo la storia in modo da suscitare la curiosità e l’entusiasmo di qualche studente e Rubén stesso intravide delle potenzialità.

Gli lasciammo i vari soggetti da leggere. Per nostra sorpresa, ci disse che gli sarebbe piaciuto occuparsene di persona, ma all’epoca era preso da altri lavori. Come già raccontato, Mind Iceberg non ebbe seguito.

Tuttavia, di lì a poco ci chiese (uso il plurale perché anche in quell’occasione mi accompagnò l’amico Carlo Susa) se volevamo aiutarlo a colmare una lacuna «storica» della scuola.

Ci spiegò che, dato il numero di studenti, a volte era difficile trovare soggetti di buon livello su cui gli allievi potessero esercitarsi. Dunque lui era sempre alla ricerca di spunti sui quali basare fumetti originali. Rimanemmo che a settembre gli avremmo sottoposto qualche soggetto da usare per le esercitazioni degli studenti.

E così facemmo.

Io adattai tre racconti brevi (brevissimi) che avevo scritto qualche anno prima, «Caldaia», «Museo» e «Piccioni» (cliccando sui titoli si possono leggere i racconti originali). Carlo presentò un intrigante soggetto intitolato «Raccordi veneziani». Poi restava l’idea di Mind Iceberg, che poteva essere sviluppata a piacimento.

«Caldaia», per l’occasione rititolato «Boiler», venne scelto da Alberto Leoncini, un disegnatore piuttosto dotato, il cui stile ricordava molto quello di Mike Mignola. La sceneggiatura lasciava molto spazio ad Alberto per quanto riguardava l’impostazione delle singole vignette. Per me scrivere fumetti era un esercizio nuovo e mi accorsi presto di non avere per nulla «mestiere» al momento di concepire le singole inquadrature. Nell’attesa di impratichirmi un po’, preferii lasciare libero il disegnatore di interpretare la vignetta come meglio credeva. C’incontrammo diverse volte, ma per diverse questioni Alberto non andò mai oltre la prima tavola (o quanto meno, io non le vidi mai).

Tavola di Boiler

Qualche anno dopo, nel 2009, ci risentimmo via Facebook. Alberto mi raccontò che era arrivato per due anni fra i finalisti del concorso per giovani autori dell'Associazione belga Raymond Leblanc e che continuava a disegnare, ma a tempo perso. Non lo sento da allora.

Scarica la sceneggiatura del fumetto «Boiler» di Marco Cevoli e Alberto Leoncini

Anche la seconda sceneggiatura, «Museo», non vide mai la luce come fumetto completo. Venne scelta da Andrea Tommolini, molto talentuoso, che abbozzò qualche tavola:

Tavola 1 di «Museo»

Tavola 2 di «Museo»

Tavola 3 di «Museo»

Con Andrea, il cui nome artistico è Andrea Echorn, ebbi qualche sporadico contatto nel 2011, quando provai a coinvolgerlo in un altro progetto, una striscia comica dedicata alla pallacanestro, senza esito. Qualche sua coloratissima opera si può vedere sul suo blog, e so che ha continuato a disegnare a livello professionale, ma anche di lui ho perso le tracce.

Scarica la sceneggiatura del fumetto «Museo» di Marco Cevoli e Andrea Echorn

Miglior sorte toccò al terzo racconto-sceneggiatura, «Piccioni». La disegnò Lorenzo Minini, che oggi è diventato un bravo artigiano attivo nel campo della decorazione d’interni e d’esterni con il marchio Pictvra (eccolo qui sotto all’opera).

Lorenzo Minini all’opera

Tavola 1 di «Piccioni»

Qui c’è la storia completa in PDF:

Scarica «Piccioni» di Marco Cevoli e Lorenzo Minini

E qui la sceneggiatura:

Scarica la sceneggiatura del fumetto «Piccioni» di Marco Cevoli e Lorenzo Minini

Anni dopo aver ultimato la storia, «Piccioni» venne anche pubblicata online dalla rivista Lo Sciacallo Elettronico, su cui è ancora visibile.

Lezioni apprese

Anche quest’esperienza fu per me molto formativa. Oltre a imparare (almeno a grandi linee) come si organizza una storia in modo grafico (qui fu molto utile la lettura di Understanding Comics di Scott McCloud, già citato altrove in questo sito), capii come interagire con i disegnatori, un tipo di rapporto molto simile a quello che vivo oggi con i grafici o i programmatori. Bisogna comprendere le loro esigenze e usare un linguaggio comune.

Da allora non ho più scritto sceneggiature, eccezion fatta per alcune strisce comiche ambientate su un campetto da basket, che sono in un cassetto e - se mai troverò qualche altra «vittima» - potranno forse vedere la luce in futuro.

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