A mente fredda, anzi glaciale

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Quando volevamo essere Will Wright

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Come vincemmo un premio con Mind Iceberg, videogioco mai realizzato.

Dopo aver spiegato nelle «puntate precedenti» come ho fondato un cinecircolo, tentato di sviluppare un database per i fumetti e dovuto rinunciare a una «brillante» carriera come artista di strada, oggi tocca a un’altra delle mie passioni inespresse: i videogiochi, o meglio, il game design, perché mi è sempre sembrato più affascinante creare giochi che giocarci .

Anche questa storia rientra nel filone diaristico-nostalgico degli ultimi post. Purtroppo la vecchiaia incalza e comincio a guardare al passato con altri occhi. Quando inizierò ad andare davanti agli 🚧 scavi 🚧 con le mani incrociate dietro la schiena, non mancherò di comunicarlo ai miei quattro lettori.

Incominciamo dai complici.

Il primo è l’amico ed ex compagno di liceo Pier Paolo Faresin, oggi stimato psicologo, all’epoca studente. Lo script del videogioco Mind Iceberg non è l’unico progetto che abbiamo realizzato insieme. Un altro è l’app per smartphone dedicata alle fobie, iFear, di cui scrissi anni fa sul blog di Qabiria.

Un altro caro amico che ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della storia è Carlo Susa, già citato in questo blog a proposito del cineforum Detour.

Paolo fra noi tre era quello più ferrato sul settore. Non per niente qualche anno dopo diventerà collaboratore della rivista Computer Facile, occupandosi proprio di videogiochi. Carlo contribuì soprattutto a livello di impianto narrativo, aiutandoci a dare un senso alla storia. Io aggiunsi al tutto un po’ di riferimenti pop e svolsi il mio consueto ruolo da collante.

Altri conoscenti e amici vennero coinvolti saltuariamente in varie fasi del progetto. C’è chi ci aiutò a realizzare parte dell’animazione per il trailer, chi disegnò alcuni schizzi preparatori del personaggio principale, chi rivide i testi, ecc.

Il concorso per sceneggiature

La storia di Mind Iceberg comincia nel 1996, quando Paolo legge di un concorso per sceneggiature di videogiochi indetto dalla rivista K, storica testata che aveva come sottotitolo «Guida al divertimento elettronico». I curiosi troveranno le scansioni dei primi numeri di K su Archive.org.

Decidiamo di partecipare al concorso, anche perché era stato indetto in collaborazione con la software house Mediola di Cagliari, la quale metteva in palio un lotto di CD-ROM e una visita ai loro uffici (e avrebbe anche valutato l’opportunità di sviluppare il gioco premiato).

Dopo qualche sessione di brainstorming partoriamo un’idea che ci sembra intrigante.

Stabiliamo un parallelo fra la mente e un iceberg. Così come un iceberg nasconde sott’acqua la maggior parte della sua massa, anche il cervello umano ha risorse inespresse, inutilizzate, che vanno fatte emergere.

Da questo concetto nasce una storia ambientata negli anni cinquanta, in clima di guerra fredda, che parla di rapimenti, esperimenti sui poteri extrasensoriali, un alieno imprigionato, visioni soprannaturali e... un rompighiaccio.

Cito una delle presentazioni che preparammo:

Mind Iceberg è un gioco che mescola ed unisce in maniera avvincente i generi avventura e azione (...) Grazie alle sue ambientazioni inedite e all’innovativo gameplay, MI è un progetto originale che si basa su una trama complessa e affascinante, ambientata negli anni ’50. Al giocatore viene chiesto di destreggiarsi in un rompighiaccio nucleare apparentemente deserto e di portarlo a destinazione tra le mille insidie dell’Antartide. Egli dovrà imparare, scoprire e dominare i poteri della sua mente e al tempo stesso ricostruire il proprio passato liberandosi dalle inibizioni che lo soggiogano.

Ridotta all’essenziale, è la storia di un personaggio senza nome che si sveglia a bordo di una nave rompighiaccio, apparentemente vuota. Non sa perché si trova lì, né dove deve andare. Il giocatore deve ricostruire la vicenda cogliendo gli indizi sparsi a bordo e interagendo con delle presenze fantasmatiche, che si riveleranno le tracce delle persone che avevano preceduto il protagonista come cavie di un esperimento.

Perché infatti di esperimento si tratta: il protagonista, e quindi il giocatore, è la cavia, la vittima di una fantomatica grande potenza che sta conducendo esperimenti sulle capacità extrasensoriali di persone particolarmente dotate, allo scopo di verificare il grado di efficacia di una comunicazione telepatica in situazioni di emergenza.

Non voglio rivelare altro della trama. Chi lo desidera può scaricare la cartellina con la storia più o meno completa e un’altra presentazione - più visuale - che sviluppa la prima e aggiunge qualche riferimento iconografico.

Leggi la trama di Mind Iceberg

Guarda la presentazione di Mind Iceberg

Copertina di Mind Iceberg

La storia piacque alla giuria, tanto che venne premiata. Ci mandarono a casa una mezza di dozzina di giochi pubblicati dalla Mediola (tutti piuttosto scarsi, a dire il vero) e ci promisero di organizzare il viaggio a Cagliari, promessa che non venne mai mantenuta.

Per un po’ io e Paolo provammo a darci da fare per realizzare il videogioco in autonomia. Ricordo un viaggio a Milano allo SMAU, la fiera dell’informatica, dove parlammo con varie software house. Con un gruppo di sviluppatori sembrò che la cosa potesse andare in porto, ma alla fine non se ne fece nulla.

Mind Iceberg, le presentazioni, i ritagli del National Geographic, i video scaricati dalle rete quando lo streaming in HD era ancora lontano, tutto finì archiviato su un CD-ROM e messo da parte.

Compiti a casa: la demo

Qualche anno più tardi, nel 2001, m’iscrissi al Master in Design e Produzione Multimedia dell’università La Salle di Barcellona. Una delle materie prevedeva lo sviluppo di una demo multimediale. Rispolverai così Mind Iceberg e creai un concept del gioco, incentrato sulla prima sfida, quella di rimettere in moto la nave (senza alcuna pretesa di verosimiglianza).

Ne venne fuori una cosa un po’ raffazzonata, sviluppata con un pot-pourri di tecniche e di strumenti. Ciò nonostante all’epoca ne fui molto orgoglioso. Rivista adesso, mette un po’ in imbarazzo, ma ci sta, sono anche passati quasi vent’anni.

Per animare il dinoccolato omino rosso usai Poser, un software 3D per il rendering e l’animazione di figure umane, che allora andava molto di moda, soprattutto fra chi non era particolarmente dotato per la modellazione 3D avanzata (come il sottoscritto).

Misi in posa il modello adattandolo alla prospettiva di alcuni interni d’imbarcazioni reperiti online e ritoccati in modo da avere tutti lo stesso look.

La traballante animazione d’apertura la realizzai invece con Macromedia Flash, combinando suoni, musica (il Dies Irae di Mozart, naturalmente), immagini d’epoca e un modello 3D del rompighiaccio realizzato in 3D Studio da un amico, esportato fotogramma per fotogramma e poi importato in Flash.

Aggiunsi il pannello dell’interfaccia utente scaricando un template gratuito e assemblai il tutto, creando la logica e le azioni interattive, con Macromedia Director, un fantastico programma di authoring multimediale che andava per la maggiore in quegli anni e con cui sono stati realizzati veri e propri capolavori (un esempio fra tutti: The Journeyman Project).

Lezioni apprese

Anche questo progetto, seppure mai ultimato, è stata un’enorme opportunità di apprendimento e di networking. Grazie a Mind Iceberg siamo venuti a contatto con programmatori, disegnatori, fumettisti, editori.

Con Mind Iceberg è nata la consapevolezza che i creatori di contenuti, i narratori di storie, troveranno sempre posto sul mercato. Una storia è una storia, e può prendere forma in tanti modi diversi, ma - in partenza - qualcuno deve saperla concepire e raccontare.

Fu anche l’occasione di smanettare con Microsoft Publisher e imparare i rudimenti dell’impaginazione digitale. Vista oggi, la presentazione ha un aspetto molto naif, con tutte quelle clip art prese di sana pianta dalle raccolte di Office, ma all’epoca venne apprezzata.

Una storia congelata?

Ciclicamente Paolo e io ritiriamo in ballo l’argomento Mind Iceberg dicendoci che dovremmo proprio dargli corpo. Negli anni, abbiamo pensato di renderlo un romanzo, un fumetto, un gioco in scatola, un'avventura testuale, ultimamente anche una visual novel dopo aver scoperto Ren’Py, strumento open source per scrivere giochi di questo tipo...

E ogni volta che leggiamo qualche trama simile alla nostra (ad esempio l’incipit del film The Bourne Identity), o quando in TV o in rete ammiriamo l’incedere imponente di un rompighiaccio che fende la banchisa, ci pentiamo di non essere arrivati fino in fondo... Ma non è detta l’ultima parola. Potremmo ripensarci.

Riporto infine un commento di Paolo, che ben riassume l'esperienza.

La gente mi guarda sbigottita quando dico che tuttora, mentre faccio colazione, leggo il televideo. Ventitré anni fa però ad essere fuori dal mondo non ero io ma un rompighiaccio. Due righe di testo bianco in contrasto con lo schermo nero del televisore lo descrivevano bloccato da qualche parte nell'artico, nella vana attesa di improbabili soccorsi.

«Nello spazio nessuno può sentirti urlare», ok, ma sulla Terra lo stesso valeva per quella nave. Questa notizia è stata il punto di partenza di un progetto che, nel corso degli anni avrebbe preso svariate forme, come ha ricordato Marco.

A rileggere il post e la trama che ne era risultata, mi accorgo che ci avevamo messo dentro di tutto. Un po’ come la pasta che ti prepari da studente: tanta roba, sapori forti. C’era però anche il desiderio di esplorare e capire come mettere a frutto, anche a livello di game design, le potenzialità di internet, che un po’ alla volta stava entrando nelle case.

Quanto sarebbe stato fattibile, interessante, divertente - discutevamo - poter «scaricare» l’esperienza di altri giocatori all’interno della propria partita, sotto forma di presenze fantasmatiche, flashback, allucinazioni, premonizioni? Si poteva forse fare in simultanea? Ogni ipotesi apriva possibilità narrative e ludiche che ci parevano valide e che, vent’anni dopo, ritroviamo in qualche forma come modalità consolidate del giocare online. Vero, non abbiamo inventato nulla. Qualcun altro ha avuto idee simili e le ha sviluppate. Mi fa comunque piacere pensare che ci vedevamo giusto, che in quegli anni iniziavamo a mettere insieme una visione sensata e innovativa di come si sarebbero potute evolvere alcune cose che ci stavano a cuore.

Mind Iceberg è stato e ancora è un progetto aperto, un playground di idee. Esercizio creativo e di metodo. Questo breve tuffo nelle acque piacevolmente ghiacciate del passato mi riporta alla mente che con interesse, passione e il giusto gruppo di persone possono bastare due righe del televideo per cominciare.

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