Mainframe in fiamme e lacrime pixellate

Mainframe in fiamme e lacrime pixellate

L’avvento dei personal computer in una serie TV

visioni nostalgia

Breve recensione di Halt and Catch Fire.


Grazie a una delle numerose offerte disponibili online in questo periodo, mi sono registrato su una piattaforma spagnola di streaming chiamata Filmin.

Stando a quanto dicono, Filmin è una delle piattaforme con il catalogo di film più nutrito, con oltre 10.000 titoli. È vero che la maggior parte di questi titoli non sono recentissimi, sono classici, film d’autore, anche qualche b-movie, ma per far fronte a questo, il sito offre anche la possibilità di vedere, pagandoli a parte, al di fuori della quota mensile, le novità cinematografiche poco tempo dopo la loro uscita al cinema. Filmin contiene anche molte serie tv, meno conosciute, molte di produzione europea. E si trova anche qualche perla, come quella che sto vedendo in questo periodo.

La serie s’intitola Halt and Catch Fire e piacerà senz’altro agli appassionati di informatica, in particolar modo ai nostalgici dei primordi dell’home computing, di cui ho già parlato nell’articolo «Quando i computer entrarono in casa». Insomma, è una serie per nerd.

Il titolo Halt and Catch Fire, letteralmente «fermati e prendi fuoco», come spiega Wikipedia, è...

un'istruzione fittizia del linguaggio assembly - intesa prevalentemente come uno scherzo - che è stata usata per definire istruzioni solitamente non documentate che portano la CPU in uno stato da cui può essere fatta uscire solo con un reset.

Creata da Christopher Cantwell e Christopher C. Rogers, è stata trasmessa originariamente dal 2014 al 2017 sulla catena americana AMC, quella di Mad Men, Breaking Bad e The Walking Dead, per capirci.

Narra le vicende di quattro persone, che lavorano tutte nell’ambito dell’informatica, le cui vite s’intrecceranno ripetutamente sullo sfondo della rivoluzione dell’home e personal computing dalla metà degli anni ottanta in avanti.

I quattro protagonisti sono attori non molto conosciuti (Lee Pace, Scoot McNairy, Mackenzie Davis e Kerry Bishé), ma per alcuni di loro questa serie e i relativi premi ottenuti hanno rappresentato un ottimo trampolino per la carriera.

La consiglio a tutti quelli che sono alla ricerca di un’ambientazione originale, con tanti richiami agli anni ottanta e novanta (rimandi non forzati, come invece avviene per esempio in Stranger Things), periodi i cui vizi e virtù vengono descritti molto accuratamente.

La trama, pur senza grosse sorprese, è sufficientemente avvincente da invogliare alla visione dell’intera serie. Sono 40 episodi, i consueti 10 a stagione, con un miglioramento continuo da una stagione all’altra.

La recitazione è molto buona (ma Hollywood a quello ci ha abituato), la fotografia e la regia sono di ottimo livello (si nota lo zampino del regista argentino Juan José Campanella, già nominato all’Oscar nel 2002 per El hijo de la novia e regista del drammone Vientos de agua) e nel complesso è un prodotto che sfrutta egregiamente l’esperienza di Mad Men, reinterpretandola in un contesto finora mai affrontato in TV.

Una menzione a parte per la colonna sonora, che non abusa dei soliti brani anni ottanta, ma riesce sempre ad essere incisiva, e soprattutto per i crediti di apertura.

Come dico spesso, se un film o un telefilm hanno dei brutti titoli, difficilmente saranno di qualità, mentre, al contrario, è raro che un buon prodotto abbia titoli sciatti.

La sigla di Halt and Catch Fire è stata prodotta dallo studio Elastic, responsabile anche di quella di Game of Thrones (fra le tante) e scorre sulle note di Still On Fire del musicista danese Trentemøller. Tutti i dettagli su questo piccolo gioiello di 30 secondi si trovano sull’affascinante sito Art of the Title, un’altra di quelle incredibili risorse offerte dalla rete.

Mi raccomando, fatemi sapere che cosa ne pensate nei commenti.

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