Dall’1 al 31 ottobre ho partecipato all’Inktober.
L’Inktober è un’iniziativa creata nel 2009 dall’artista Jake Parker come sfida per migliorare le proprie capacità artistiche. Consiste semplicemente nel fare un disegno al giorno durante il mese di ottobre. Inizialmente ideata per esercitarsi con la china, non avendo l'Inktober regole ferree, chiunque può affrontare questa sfida con disegni di ogni tipo.
Non è un concorso. Non si vince niente. Non serve a determinare chi è più bravo.
È una challenge, una sfida, la cui unica regola è quella di condividere le proprie opere, non necessariamente su Instagram o Facebook: vale anche la bacheca della scuola o il frigorifero di casa.
Gli organizzatori forniscono anche un elenco di temi, 1 parola al giorno, solitamente polisemica e sufficientemente ambigua per dare libero sfogo alla creatività e alla fantasia. Gli spunti, in inglese prompts, sono del tutto facoltativi. Ciascun partecipante può decidere se seguirli o meno.
Perché racconto tutto questo? Beh, perché quest’anno ho deciso di parteciparvi anch’io.
Qualche anno fa, nel 2016 per la precisione, presi la decisione di voler imparare a disegnare. È un’attività che mi ha sempre incuriosito e a cui mi sono avvicinato spesso ma in modo molto scostante.
In questo ennesimo tentativo, per cominciare mi sono letto il noto libro di Betty Edwards, Disegnare con la parte destra del cervello, svolgendo i vari esercizi consigliati. Ho faticato alquanto, quasi un anno, a terminarlo, perché l’ho messo da parte e poi ripreso in varie occasioni.
È stata in ogni caso una lettura davvero proficua, che mi ha insegnato a vedere.
Ciò che m’interessa sempre più è infatti imparare «cose» che mi permettano di vedere il mondo in un altro modo, più ricco, che mi diano le chiavi per vedere quello che prima non vedevo.
Ad esempio, da anni mi riprometto di studiare un po’ di botanica, giusto per saper riconoscere le piante e gli alberi principali. E sì, perché uno va in giro e, tolto il pino, il salice, il pioppo e poco altro, tutto il resto è «albero». E così, paesaggi naturali multiformi si appiattiscono e finiscono per annoiare.
Ecco, il disegno è una di queste «chiavi». Saper distinguere i toni, le linee, le forme costituisce un esercizio utilissimo. Insegna a vedere fra le cose, a notare similitudini e differenze, a scoprire dettagli prima invisibili.
Senza contare la piacevolissima sensazione che si sperimenta quando la concentrazione è al massimo e si finisce nella zona, nel flusso, in quel limbo dove non scorre il tempo.
Dopo la lettura del libro della Edwards, che non potrò raccomandare mai abbastanza, ne ho iniziato un altro, simile nell’impostazione: Keys to Drawing di Bert Dodson (in italiano, Le chiavi del disegno).
In più sto seguendo qualche tutorial su YouTube e un paio di corsi su Domestika, una comunità creativa che offre corsi a pagamento.
Da queste prime approssimazioni al disegno ho imparato che:
Imparare a disegnare richiede un impegno costante. È quello il difficile.
Io sono ancora fermo al tentativo di dominare la linea. Ancora non so ombreggiare, né differenziare i toni, né riprodurre le texture. E per il momento sto sperimentando solo con matita e pennarelli neri e occasionalmente con qualche sprazzo di colore.
Non sono nato con un particolare talento per il disegno, per cui quest’attività rappresenta una sfida personale.
In realtà nasce tutto dal fascino che esercitano su di me le illustrazioni scientifiche e naturalistiche, quelle che si trovano nelle vecchie enciclopedie o nei vecchi libri di scienze.
Ho sempre trovato ammaliante la precisione delle riproduzioni di animali e ancor più quelle degli oggetti inanimati, come minerali o conchiglie...
...tanto da cimentarmi io stesso, con la scusa dell’ennesimo corso mai terminato (per la precisione Drawing Nature, Science and Culture: Natural History Illustration 101).
Ecco il frutto delle poche lezioni seguite:
Mi piacciono molto gli schizzi di viaggio, le illustrazioni di campo dei biologi, dei ricercatori, le opere di tutti coloro i quali riescono a riprodurre con pochi tratti un istante dell’esperienza che stanno vivendo.
Nella mia limitatissima esperienza come disegnatore ho imparato che con il dovuto tempo, la dovuta pazienza e la tecnica necessaria si riesce a disegnare non dico tutto, ma moltissimi soggetti. Tuttavia, farlo in poco tempo, su due piedi, sintetizzare in modo efficace, ecco, questo mi sembra difficilissimo, quanto meno ancora fuori dalla mia portata.
In tutto questo, Inktober è stato un bellissimo esercizio, perché grazie ad esso ho capito che anche senza mestiere e senza talento, con un po’ di volontà, pazienza e costanza, qualche risultato lo si ottiene.
Certo, il livello è quello che è, ma essere riusciti a ritagliarsi 10-20 minuti ogni giorno per un disegnino sulle pagine della Moleskine, pagine che rimarranno lì fino a quando non sbiadirà l’inchiostro, beh, è una piccola-grande soddisfazione.
E dato che la condivisione forma parte del gioco, chi non si è già sorbito il post quotidiano su Facebook può rivedere qui i 31 parti, corrispondenti ai 31 prompt.
Sono tutti disegnati su un’agendina 13 x 21 cm, la maggioranza con penne Staedler 0.2, 0.4 e marker neri, tranne i disegni in blu, realizzati con una stilografica e Dizzy Gillespie con una BIC.
Ah, la prima immagine, il palazzo, non c'entra, ma non so come toglierla dalla galleria... Al corso di programmazione ci sto lavorando. A presto aggiornamenti in merito.
Aggiornamento: il corso inizia a dare i suoi frutti, sono riuscito a toglierla. :)