Alcune riflessioni sul modo migliore di vendere consulenza via internet.
Tempo fa un amico, che per comodità chiameremo Paperoga, mi contattò per chiedermi qualche consiglio sul miglior modo di avviare un’attività di servizi professionali online.
Mi fa sempre molto piacere confrontarmi con persone che hanno inquietudini imprenditoriali (solo queste salveranno il Sud Europa dalla deriva), per cui mi sono visto moralmente obbligato a fare da consulente non pagato 🧐 e avvocato del diavolo 👿 insieme.
Riporto qui alcune delle considerazioni condivise con Paperoga solo perché - forse - possono essere d’aiuto anche ad altri.
Disclaimer e premessa obbligatoria: io non sono nessuno per elargire consigli, men che meno di business. Ho soltanto la fortuna di aver fondato una piccola società di traduzioni (https://qabiria.com), con la quale un socio ed io riusciamo a ripagarci il mutuo e/o l’affitto, vivendo una vita dignitosa, pagando tutte le spese, i fornitori e i collaboratori e tutte le dovute tasse. Da più di 11 anni («medaglia, medaglia»).
L’idea era semplicemente quella di riassumere e condividere con Paperoga alcuni dei principi di cui ho letto o che ho sentito citare in innumerevoli conferenze e convegni su startup, imprenditoria, coaching, project management, etc. a cui ho partecipato negli ultimi anni.
Non sono che spunti di riflessione. Chi vuole dell’altro troverà centinaia di libri e di siti molto più autorevoli da cui imparare. Una semplice ricerca del tipo «i dieci libri che un imprenditore deve assolutamente leggere» darà ottimi frutti.
La domanda che mi venne posta inizialmente da Paperoga fu: come faccio a creare un’attività online con cui mantenermi e mollare il lavoro d’ufficio che non mi motiva più e i cui orari e spostamenti mi causano enorme stress?
Paperoga aveva una mezza idea: vendere consulenze inerenti al suo campo di specializzazione sotto forma di miniprogetti in PDF. Quindi un servizio per consumatori-utenti finali, non per aziende. Siamo nel cosiddetto B2C (business to consumer).
Prima di incominciare a ragionare sugli aspetti pratici e sulla fattibilità del progetto, gli dissi che bisogna avere molto chiare almeno 4 cose:
Offrire un servizio (online o meno) pensando che sia appetibile per molti (come riteneva Paperoga all’inizio), se non per tutti, è uno degli errori più comuni. Volendo accontentare tutti si finisce per non accontentare nessuno.
È necessario identificare:
Devi identificare la tua nicchia con una precisione chirurgica, immaginando la singola persona che verrà da te, cosa pensa, cos’ha studiato, che siti visita, cosa le piace, etc. Va delineata insomma la cosiddetta buyer persona, un identikit del cliente ideale.
Può sembrare un esercizio assurdo, ma solo così si potrà costruire il business attorno all’unico perno che deve avere, cioè il cliente.
L’imprenditore, e ancor più il tecnico (come sono io, ad esempio) è naturalmente portato a costruire il business attorno al servizio o attorno all’idea, al limite attorno al problema da risolvere, dimenticando (quasi) sempre il cliente.
Il secondo punto fondamentale su cui riflettere è la scelta del modello di business. È necessario aver ben presente in che modo l’attività creerà ricchezza. Come si faranno i soldi?
Fatturando le ore spese su ogni progetto retribuite un tanto all’ora? Oppure applicando un forfait a progetto/servizio? Comprando e rivedendo il servizio/prodotto con un margine di beneficio? Quale?
Per far soldi via internet e/o per interessare eventuali investitori, il business deve avere un potenziale di crescita, dev’essere facilmente scalabile, ovvero ti devi poter ingrandire facilmente.
La scalabilità è insita nel business model. Se si vogliono offrire servizi professionali basati sulle proprie competenze e abilità, per crescere bisognerà per forza assumere altre persone con le stesse caratteristiche, passo difficoltoso e non sempre realizzabile.
Se invece si presume di aprire un e-commerce i cui prodotti sono facili da reperire e magari non è neppure necessario avere uno stock, il modello è molto più facile da scalare.
Prima ancora di partire in quarta con il proprio progetto, è necessario anche analizzare che cosa stanno facendo gli altri. Come ti posizioni tu rispetto agli altri? In che cosa sei diverso? Va trovato insomma il proprio punto di differenziazione, da riassumere poi in una unique selling proposition, un’argomentazione di vendita unica, su cui basare la pubblicità.
Dopo queste riflessioni, tuttavia, bisogna anche iniziare a fare due conti, calcolatrice alla mano.
Stabilito a chi ci si vuole rivolgere, delineato il prodotto o il servizio che si vuole offrire, unicità rispetto alla concorrenza compresa, va fissato il prezzo di vendita. Di quante vendite avresti bisogno per sopravvivere? Per vivere bene? Per diventare ricco? Qual è l’obiettivo principale? E calcolato il fatturato ideale, quanti contatti dovresti generare per ottenere queste vendite?
A questo punto della conversazione con Paperoga ci trovammo dinanzi a un impasse. Lo stipendio di Paperoga era piuttosto alto e, in tutta franchezza, gli suggerii di non azzardarsi a mollare un lavoro sicuro con quella retribuzione.
Naturalmente, gli dovetti spiegare perché. Facendo appunto due conti.
Ipotizzando che si voglia vendere il proprio servizio in modalità «freemium», il tasso di conversione medio fra utente free e utente a pagamento si aggira intorno al 2-3 %, ossia, su 100 utenti gratuiti solo 2 finiscono per pagare per sbloccare le funzionalità «premium».
Il tasso di chi si registra su un sito dopo averlo visitato è molto variabile, non ci sono leggi e dipende dal sito, ma mettiamo (molto ottimisticamente) che sia lo stesso, un altro 2 %. Ne consegue che, per avere 2 clienti paganti, hai bisogno che se ne registrino 100 e quindi che visitino il sito 5000 persone (100 è il 2 % di 5000).
L’idea di Paperoga, che non posso scrivere nei dettagli, presupponeva che il prodotto offerto avesse un costo di circa 100 euro, e che fossero necessari 600 euro di vendite al giorno affinché il business fosse appetibile. L’ipotesi di partenza era quindi un fatturato annuo di 180.000 euro (600 euro x 300 giorni circa all’anno), che avrebbe garantito a Paperoga introiti corrispondenti allo stipendio che percepiva all’epoca (compresi tutti i benefit di cui godeva). Questo non equivale a dire che il salario lordo di Paperoga fosse uguale a 180.000 euro. Da questa cifra infatti andranno detratte tutte le spese fisse, le spese variabili e le tasse.
Per raggiungere l’obiettivo di fatturato ipotizzato qui sopra c’è bisogno di 6 utenti paganti = 300 registrati = 15.000 visitatori al giorno = 450.000 visitatori al mese (o 300.000 sui 20 giorni lavorativi). Anche chi non è esperto di e-commerce si rende conto che stiamo parlando di una marea di traffico. Per ottenerlo non bastano il posizionamento e le ricerche organiche, ma bisogna senz’altro investire migliaia di euro per generarlo e altrettanto per mantenerlo.
Senza contare che far sganciare 70-100 euro a un italiano qualsiasi, via internet, per un prodotto come quello ideato da Paperoga (contenuto in un PDF) era (ed è ancor oggi) molto, molto difficile. Neanche se glielo stampi su carta dorata... L’Italia è agli ultimi posti in tutte le classifiche sull’e-commerce. La gente non si fida a usare la carta di credito... ancora ancora compra qualcosa di fisico online, ma le cifre sulle vendite di prodotti digitali (vedi ebook o simili) sono desolanti.
Per questo provai a suggerire a Paperoga di non offrire un servizio che si basasse solo sul suo talento e sulle sue capacità. Non collima con quello che funziona online. Piuttosto, gli dissi, registra un videocorso, mettilo online e vendi quello. Lo crei 1 singola volta e lo vendi n volte, vita natural durante.
Ovviamente tutto questo può essere smentito se l’idea di business di partenza è veramente originale e ha il potenziale per sfondare (quella di Paperoga, così come la maggior parte di quelle che sento, non l’aveva).
Detto questo, provai a insistere su un altro fatto: l’unico modo di testare un’idea è quello di parlarne con gli altri. Spesso si commette l’errore di non parlarne con nessuno per timore che qualcuno rubi l’idea. Ma avere un’idea è facile. Tutti ne hanno, in continuazione. Il difficile è metterle in pratica.
Soltanto il confronto con qualcuno più esperto di noi può darci indicazioni utili sulla fattibilità della cosa. Ci sono tanti forum di esperti di business online, ogni città medio-grande ha uno sportello che aiuta gli imprenditori, che assiste nella stesura di un business plan o quanto meno a iniziare a strutturare il progetto, fare due conti «della serva» e soprattutto fare un benchmarking di quello che esiste già, per analizzare meglio il tutto e considerarne tutti gli aspetti.
Per un tecnico che vende servizi professionali frutto di proprie ore di lavoro non sono poi tanti i modi per guadagnare online: o si ha l’idea del secolo (o dell’anno, dai), e ci si lavora su, oppure si deve lavorare sulla propria reputazione e sul proprio posizionamento, producendo contenuti digitali che attirino le persone.
Una volta attirati e convinti delle tue capacità (grazie alla qualità dei contenuti offerti), questi utenti possono o comprare altri contenuti «pacchettizzati» (su cui quindi lavori 1 volta e poi incassi molte volte) o comprare ore di consulenza (che fatturi ad ore, in modo convenzionale, risparmiando in sostanza solo sugli spostamenti).
Quindi il percorso sarebbe (più o meno):
Il tutto va condito con una buona dose di networking online e offline, partecipazione a eventi, convegni, e attività sui social media in modo da guadagnare visibilità.
Di solito i primi successi (vendite) arrivano dopo 1 o 2 anni dall’inizio di un programma simile, a meno di impiegare forze esterne (qualcuno che ti scriva i contenuti, o che ti faccia il marketing mirato).
Insomma, di ricette facili non ne esistono, o - per lo meno - io non ne conosco.
E con Paperoga, com’è finita? Dopo qualche tempo, il mio amico ha davvero mollato il lavoro d’oro che aveva per mettersi in proprio. Per ora si presenta come consulente «vecchio stampo», ma non scarta di lanciare un business online appena avrà capito qual è il miglior modo di «impacchettare» i suoi servizi.
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