Considerazioni previe alla stesura di un altro romanzo.
È triste ammetterlo, ma fra i cinque lettori di questo blog ce ne sono ancora alcuni ignari del fatto che un paio d’anni fa ho pubblicato un romanzetto. Autopubblicato, per carità. Non sia mai che qualcuno pensi che mi stia dando arie d’artista. Tutti i dettagli di Uziversitari - questo è l’assurdo titolo dell’opera - si trovano in un minisito a un solo clic di distanza, dove ci sono anche una dozzina di blog post, mantenuti separati da questo perché all’epoca ancora non esisteva.
Brevissimamente, Uziversitari racconta la storia di uno studente universitario che s’innamora, si laurea, medita stragi, emigra (non necessariamente in quest’ordine). Va a finir bene, non c’è di che preoccuparsi. O almeno credo.
Nel blando tentativo di farlo leggere oltre le mura di casa avevo anche azzardato un book trailer (grazie, Carlo, per la voce e Hakeem per la musica):
Ora, siccome la stesura di questo capolavoro ingiustamente (😂) ignoto ai più è durata, di riffa e di raffa, una ventina d’anni - che nemmanco Dante... - prima di iniziare il prossimo ho pensato di prendere alcune contromisure per evitare il ripetersi di un’altra epopea.
Gli edotti dicono che un modo efficace di portare a termine le cose è prendere un impegno nei confronti di terzi.
Ho provato a seguire il consiglio partecipando al NaNoWriMo, una sfida online che consiste nello scrivere 50.000 parole (più o meno la lunghezza di un romanzo standard) durante i 30 giorni del mese di novembre, un po’ come l’Inktober di cui ho parlato nel blog post «Volevo disegnare sassi». Oltre alla sfida in sé, NaNoWriMo offre tutto un corredo di consigli, tutorial, strumenti e persino un forum su cui trovare spalle su cui piangere quando il foglio bianco provoca ansia.
Ancor prima d’iniziare sapevo che l’impresa era ardua, soprattutto in un periodo in cui ho altri due fronti aperti:
Ho comunque compiuto uno sforzo: mi sono installato la versione aggiornata di YWriter, il comodo programma di scrittura con cui scrissi Uziversitari, e ritagliandomi qualche ora libera sono arrivato a 8298 parole. Certo, siamo molto lontani dalle 50.000 previste, ma quanto meno l’esperienza mi è servita per pigliare l’abbrivio e riflettere sulla trama.
Visto che l’impegno preso nei confronti della community non è servito poi a molto, provo a rinnovare il patto con i lettori del presente blog, ma dettando una condizione: chi vuole appoggiare la buona riuscita di questo progetto, o meglio, contribuire a stimolarne il funzionamento, deve esplicitamente dichiararlo nei commenti. Non servono grandi proclami o discorsi di sostegno, bastano due parole di commento. Potrei anche accettare un semplice «mi piace», ma preferirei sapere chi sono i miei mecenati virtuali.
Ma mi accorgo di essere un po’ precipitato.
Prima di aspettarmi che qualcuno dimostri entusiasmo (indotto) per il progetto, magari conviene che io anticipi qualche dettaglio.
Vediamo... Il nuovo romanzo ha già un titolo provvisorio, ma non lo rivelo per evitare spoiler. E in effetti, trattandosi tutto sommato di un giallo, è difficile raccontarlo senza svelare l’intreccio.
Posso soltanto dire che è la storia di due personaggi contrapposti: Gaetana e Alberto. La vicenda ruota infatti attorno alla scomparsa di una traduttrice, Gaetana appunto. Sulla quarantina, Gaetana vive da sola, senza legami personali, orfana, con un gatto che le tiene compagnia.
Silvia, una collega con cui Gaetana sta traducendo a quattro mani un saggio piuttosto complicato, poco prima della consegna del lavoro cessa di ricevere notizie da Gaetana, che diventa irreperibile. Di fronte alla scadenza imminente e preoccupata per la situazione anomala (Gaetana è molto metodica e diligente), Silvia chiede aiuto al fidanzato, il quale, pragmaticamente, anziché coinvolgere le autorità, decide di chiamare un amico, Alberto, che lavora saltuariamente come investigatore privato. Alberto è il vero protagonista del romanzo.
Alberto accetta di dare una mano a Silvia soltanto perché ha bisogno di soldi. È «quasi laureato» in Sociologia, con una specializzazione in Criminologia, e per questo si presenta sempre come «investigatore privato», anche se in realtà non ha mai lavorato sul serio in vita sua. Ha fatto giusto un tirocinio di sei mesi presso un’agenzia investigativa piuttosto nota, quanto basta per ingannare sé stesso (e gli altri). Si arrabatta con incarichi estemporanei di recupero crediti (è grande e grosso, tendente al sovrappeso), spendendo in scommesse la pensione della madre invalida con cui convive.
Da qui in poi la trama procede seguendo le indagini di Alberto, sulla falsariga del noto proverbio «il più pulito c’ha la rogna».
In una frase, il romanzo è la storia del riscatto di Alberto, che da «finto» investigatore e uomo di mezz’età fallito, dopo varie peripezie giunge alla conclusione che quelli apparentemente «migliori» di lui non lo sono poi tanto.
Allo stato attuale delle cose la storia, per sommi capi, è stata abbozzata. Devo ancora risolvere un paio di questioni narrative e, soprattutto, capire se sarò in grado di cimentarmi in una scrittura di genere. Il giallo ha i suoi stilemi e le sue regole, che per un dilettante non sono sempre facili da seguire.
Da qui in poi...
Esistono sostanzialmente due modi di affrontare la stesura di un romanzo:
Io mi sento più a mio agio con il secondo atteggiamento, anche se, ovviamente, una certa preparazione è sempre necessaria.
Non posso garantire né promettere che questa storia vedrà la luce. Mi piacerebbe provarci, questo sì.
Creare una storia dal nulla, dipingere dei personaggi, animarli su uno scenario di cui si è i soli responsabili è difficile, sì, ma è anche fonte di immensa soddisfazione e piacere. È un’attività che - almeno nel mio caso - mi mette in comunione con il passato, con le radici, con l’essenza di ciò che è veramente umano.
Mi sento il cavernicolo che si soffia l’ocra rossa sulla mano aperta poggiata su una parete.
Vi attendo attorno al fuoco.